Ci auguriamo che il percorso che prenderà avvio con gli Stati Generali dell’AFAM che si terranno a Roma l’8 e 9 febbraio possa essere anzitutto un’occasione per riattivare una nuova modalità di ascolto che valorizzi le diverse componenti delle nostre istituzioni. Non solo per ristabilire un confronto sulle molte questioni interne ancora irrisolte – su queste seguirà uno specifico articolo -,  ma anche per contribuire all’elaborazione di azioni condivise orientate al rilancio del sistema musicale di un Paese. Azioni che riescano a coniugare le attività formative con quelle professionali invertendo la tendenza che in questi anni le ha tentute distanti mentre quasi ogni forma di sostegno pubblico alle attività produttive subiva una progressiva ed inarrestabile riduzione. Non pensiamo al ripristino di mere forme di assistenzialismo, ma ad un progetto di sviluppo complessivo delle attività artistiche che riesca a liberare le molte potenzialità inespresse delle nostre istituzioni, formative e professionali, che da diversi anni vivono una sorta di atrofia causata dalla costante incertezza sul loro futuro.

Se è vero che il sistema produttivo culturale e creativo italiano ha la forza per produrre “89,7 miliardi di valore aggiunto, il 6,1% del Pil, più di finanza e assicurazioni, sanità, costruzioni, metallurgia e meccanica attivando indirettamente altri 160,1 miliardi (il 10,9% del prodotto interno lordo)” (dati del 2015 de Il Sole 24ore), è necessario agire subito seguendo una logica di investimenti e di incentivi a sostegno di una creatività musicale che riesca a conciliare le nostre antiche radici culturali con i fermenti artistici di una modernità che ci impone scenari futuri dove nulla sarà più come prima. Anni decisivi che non si possono affrontare senza una politica di investimenti che ci permetta di uscire dalla posizione marginale nella quale oggi siamo collocati a livello europeo e non solo. Per questo riteniamo che ogni riflessione sull’alta formazione non possa essere disgiunta da una visione più ampia sulle prospettive professionali.  

Per citare qualche dato sul divario tra la situazione italiana rispetto a quella di altri Paesi europei in termini di finanziamento alla cultura, l’ammontare delle risorse assegnate nel 2018 al MIBAC – Ministero dei beni e delle attività culturali è di circa 2,5 miliardi di euro (pari allo 0,15% del PIL). Questa è la cifra che lo Stato investe per sostenere i musei, le biblioteche, i siti archeologici, il cinema, il teatro, la musica, i circhi. Dai dati pubblicati nella  Présentation du projet de loi de finances 2019 del Ministero della cultura francese e nel Kulturfinanzbericht 2016 del Governo tedesco risultano invece stanziamenti ben diversi: 10 miliardi in Francia e 9 miliardi in Germania [tra contributi statali (1,3 miliardi), federali (4,1 miliardi) e comunali (4,5 miliardi)] per interventi analoghi a sostegno dei beni e delle attività culturali. Inutile ricordare che anche solo per l’entità del nostro patrimonio culturale i rapporti dovrebbero essere invertiti.

Anche gli specifici finanziamenti sui fondi a sostegno dello spettacolo ci vedono sempre nelle retrovie. Il nostro FUS – Fondo Unico della Spettacolo nel 2019 è di circa 350 milioni di euro (con un piccolo incremento di 18 milioni negli ultimi due anni). In Francia il fondo corrispondente è invece di 850 milioni di euro, in Germania di circa 3,5 miliardi di euro (tra contributi statali, federali e comunali): l’investimento in teatro e musica della sola città-stato di Berlino (circa 3.700.000 abitanti) si avvicina molto, con 310 milioni di euro, al nostro complessivo investimento nazionale.

Solo per farsi un’idea dell’entità dell’investimento tedesco, la seguente tabella mostra nella seconda colonna l’investimento in attività teatrali e musicali suddivise per Land; il dato tiene però conto anche dei contributi dei comuni ricompresi nel singolo Land:

2013: Spesa per abitante (€) e importo totale della spesa per teatro e musica (milioni di €)

Perfino nella liberista Inghilterra, del resto, l’Arts Council England eroga subsidies per ben 342 milioni di pounds, pari a circa 390 milioni di euro.

Con questo, non pensiamo che la soluzione sia quella di ritornare al centralismo di uno Stato che elargisca fondi irrigidendo la formazione e la produzione culturale attraverso algoritimi, bandi o astrusi meccanismi valutativi. Pensiamo piuttosto ad uno Stato che, partendo da una chiara politica culturale, contribuisca alla riscrittura di un nuovo vocabolario che abbia la forza ideale ed economica per riaccendere tutte le energie creative di un Paese che, da sempre, ha fatto della musica e dell’arte il fondamento della propria identità.

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