Quel che segue in forma piuttosto disordinata è frutto esclusivamente di considerazioni personali.

Dopo anni di attesa pare finalmente sia pronta (lo era, così il Ministro, anche il 21 giugno scorso) la bozza di regolamento sul reclutamento. Preannunciata da rumors e presunte anticipazioni non ufficiali, che paventavano una procedura concorsuale nazionale per tutti i nuovi aspiranti all’insegnamento (di qui la recente mozione delle Conferenza dei Direttori, di qui molte delle cose che sono state dette nell’incontro di Rovigo del 19 settembre), la bozza è ancora del tutto sconosciuta quantomeno a chi scrive; è stata però presentata recentemente attraverso il più agevole linguaggio visivo delle slides (for dummies?) nel recente incontro del 27 u.s. con i sindacati.

E qui un colpo di scena: accanto a assai positive novità per i colleghi precari della graduatoria 128, che ci auguriamo risolvano al più presto la loro situazione, quelle slides racconterebbero di una modalità di reclutamento del tutto diversa da quella delineata dai rumors. Niente concorso nazionale, niente abilitazione nazionale (come del resto aveva già anticipato prima dell’estate il Ministro), ma piuttosto concorsi locali: al di là del meccanismo specifico, tutto da chiarire, si tratta di un punto di vista totalmente nuovo che a rigor di logica andrà a toccare ad esempio pure i meccanismi dei trasferimenti e magari in futuro, perché no?, forse anche la stessa attribuzione dei compiti didattici, oggi vincolata in qualche modo al rispetto dell’inquadramento professionale nei Settori Artistico Disciplinari.

Va ricordato come il concorso locale, introdotto per l’Università con la Legge 210 del 1998 (c.d. Legge Berlinguer) dopo quasi un ventennio di concorsi nazionali (a partire dal DPR 382 del 1980 nel ventennio 1980-2000 si tennero tre tornate nazionali per gli ordinari e tre per gli associati, con circa 16.500 docenti assunti), e poi a lungo accusato di favorire eccessi localistici e di garantire una facile vittoria al candidato interno alla facoltà, sia stato modificato attraverso la Legge 240 del 2010 (c.d. Legge Gelmini) con il vincolo del conseguimento di un’abilitazione scientifica nazionale (ASN) come premessa necessaria per la partecipazione ai concorsi locali per posti di ruolo di professore di prima e seconda fascia. Va poi detto che pure il meccanismo così introdotto (c.d. Legge Gelmini) è oggi più che mai sottoposto a dure critiche: l’ASN bibliometrica, di fatto affidata all’ANVUR, ha creato, tra “mediane” e altre bizzarre mensuralità, situazioni a dir poco discutibili, né pare sia servita a disinnescare contenziosi o comportamenti opportunistici delle sedi, come le recenti esternazioni di Raffaele Cantone parrebbero confermare.

Ora però il nuovissimo modello che il Ministero avrebbe in mente per l’Afam sarebbe, stando alle slides e a chi ha avuto il piacere di vederle, proprio il modello che la Legge Gelmini tentò, con esiti certo assai discutibili, di correggere sei anni or sono: un modello un po’ vecchiotto, che ben prima della comparsa di quella Legge era stato duramente attaccato da un’affilata pamphlettistica sbocciata e poi fiorita copiosa proprio all’interno delle Università.

Due le possibilità, allora: o il Ministero ritiene l’Afam un sistema assai più maturo di quello universitario, e dunque assai più capace di generare anticorpi contro nepotismi e clientele, oppure lo reputa sostanzialmente insignificante, poiché del tutto legato a saperi “di serie B”, a pseudo-saperi irrimediabilmente marchiati dallo stigma della soggettività.

Del resto sappiamo bene come il Ministro abbia affermato che la best practice per l’Afam sarebbe il “modello ISIA” (contratti e nessun docente di ruolo), e come riguardo all’Università abbia detto in un’intervista di due anni fa a «L’Espresso», che «i concorsi locali vanno aboliti tout court. Ogni università deve poter assumere i docenti che vuole. Chi assumerà parenti e ricercatori incapaci lo farà a proprio rischio e pericolo: gli atenei che produrranno poco subiranno ripercussioni economiche, gli taglieremo i fondi». Avrà nel frattempo cambiato idea?

Forse no, perché anche l’on. Puglisi, responsabile Università del PD, si è mossa recentemente su questo stesso registro: «Il decreto Natta [per l’assunzione attraverso una sorta di “chiamata diretta” di 500 super professori] sarà una sperimentazione per la selezione dei docenti universitari. Potrebbe rivelarsi un procedimento da estendere a tutti i docenti universitari, non solo alle supercattedre», ha dichiarato al «Messaggero» del 25 settembre scorso.

Questa mi pare a grandi linee la situazione attuale. Complicata dall’urgente necessità di risolvere il problema del precariato da un lato, e dall’altro dalla costante rincorsa a procedure, come quelle del reclutamento, che facciano apparire l’Afam almeno “un po’ più Università”. Le equazioni concorso nazionale=scuola, concorso di sede/chiamata diretta/cooptazione=Università sono ormai ben consolidate nel modo di pensare di molti di noi. Degli stessi, peraltro, che da anni lamentano di aver subito qua e là in giro per l’Italia le più svariate e arbitrarie iniquità nella valutazione dei loro titoli artistici da parte di commissioni diverse.

Ecco dunque che cosa sembra alimentare, per ora attraverso il silenzio-assenso che mi pare abbia accolto la bozza-slide, una certa fiducia nel concorso di sede da parte di molti di noi: la serena e inamovibile certezza di valere. «Io valgo» deve ripetersi tutti i giorni il musicista, e la sua iità finisce per scansare dalla visuale ciò che, attraverso l’insegnamento della storia d’Italia e della storia del reclutamento nei Conservatori, non sarebbe poi tanto difficile immaginare.

Ma perché poi temere questi benedetti concorsi di sede? Saranno il mercato e un’attenta valutazione della valutazione, a “promuovere” o “bocciare” (magari fino alla sua estinzione) l’istituzione. Le recenti parole del Ministro Calenda a Cernobbio son lì a ribadirlo. Poco importa che tale valutazione di secondo grado possa rivelarsi davvero assai vaga e inafferrabile perfino per gli espertissimi valutatori dell’ANVUR: a onor del vero, per valutare appieno la scelta effettuata, e non solo il candidato prescelto, si dovrebbe infatti comparare il lavoro svolto da chi è stato scelto con quello che avrebbero svolto quanti non lo sono stati. Dice: ma si fa così in tutto il mondo. E’ vero, e poco importa, evidentemente, che spesso titolatissimi musicisti italiani non riescano nemmeno a ottenere un’interview per concorsi di sede presso un’accademia straniera (il genius loci non abita solo il Belpaese), o che, quando la ottengano, venga loro chiesto «Bene, ma quanti allievi ci porta?».

Attraverso la leva dell’autonomia, introdotta in ambito universitario nel 1989 con la Legge Ruberti, guarda caso nel momento di massima espansione di un sistema che da elitario era ormai divenuto di massa, lo Stato mette in scena una rappresentazione, la cui impostura è evidente: fa credere di voler donare qualcosa di prezioso (l’autonomia o suoi brandelli) con l’unico scopo di disimpegnarsi dalle spese di mantenimento di un sistema ritenuto poco “produttivo”.
L’impressione è che anche riguardo al reclutamento lo Stato abbia issato definitivamente bandiera bianca: sembrerebbe non voler più nemmeno tentare di garantire un “sistema” diffuso di alta qualità, perché ciò ha un costo decisamente elevato. Molto meglio affidarsi ai ranking e ai like. Molto meglio “valutare” piuttosto che selezionare. Molto meglio rinunciare al superlativo assoluto (costoso, perché richiede investimenti su larga scala e grande attenzione nel reclutamento) e accontentarsi del più economico e meno impegnativo comparativo. «Questo è meglio di quello» è meglio di «Questo è ottimo».

Ormai quasi un anno fa, rispondendo a un’interrogazione dell’on. Marzana la sottosegretaria D’Onghia dichiarava che «il tema del nuovo reclutamento nel settore AFAM è strettamente collegato ad almeno altre due questioni rilevanti; l’assetto istituzionale e di governance delle istituzioni ed il riordino dell’offerta formativa. Si tratta quindi di un problema che va affrontato tenendo presente tutti questi aspetti congiuntamente».
Certo, allora la sottosegretaria cercava di guadagnare altro tempo, spostando il tema del reclutamento, e della 128, sul piano della sua interazione con gli altri mille piani pensabili, e dunque verso l’Indefinito. Ma forse non aveva davvero tutti i torti: si può concepire una procedura di reclutamento senza definire a che tipo di scuola quel reclutamento sia indirizzato? Senza parlare congiuntamente di “riordino” territoriale o di corsi di secondo e terzo livello?

 

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