Ho letto nel Fasc. IV della «Rivista Musicale» l’articolo del M° Giacomo Orefice Conservatorio o Università musicale; ho letto pure i commenti fatti in vari giornali.

Poiché in massima sono d’accordo nella proposta riforma, tendo a far presente che già nel 1896 io avevo espresso idee che collimano pienamente con quelle che ora si espongono. Allora quelle idee sembravano esagerate, utopistiche, inattuabili. […]

Il desiderio di giovare – sia pur modestamente – all’Arte nostra mi ha incitato sempre a studiare l’organizzazione di parecchie Scuole di musica, nazionali e straniere. Un prolungato ed accurato studio mi ha dato il convincimento che i migliori risultati furono ottenuti da quelle Scuole che diedero, nel modo più pratico, la maggiore importanza alle materie secondarie obbligatorie –  non a quelle… accademiche, attualmente in uso nei nostri Conservatorii. L’allievo potrà così dedicare il tempo che gli rimane libero alla tecnica del suo strumento. Agli allievi di Contrappunto, Fuga e Composizione gioveranno molto di più le quattro ore settimanali con l’esercizio collettivo alla lavagna, sotto la guida dell’insegnante, che non l’elucubrazione intorno al còmpito, fatta da solo a casa, ciò che assorbirebbe poi all’Insegnante un preziosissimo tempo per la correzione.

La riforma, il riordinamento di una Scuola non è punto difficile, quando, consci della via da seguire, non ci lasciamo fuorviare dal nostro temperamento, che ci spinge piuttosto verso l’accademismo – mi si passi la parola – anziché verso la praticità.

Ma veniamo al punto essenziale.

Nel 1910 pubblicavo1: «I Conservatorii dovrebbero essere riguardati come Università musicali, Istituti cioè dove si trovasse modo di approfondire tutti i rami dell’Arte musicale, acquistandovi l’ultima perfezione tecnica, l’altezza dello stile, e tutto quanto insomma l’estetica applicata può dare all’artisticità come fondamento e stimolo».

In tal caso bisognerebbe creare nelle città secondarie, e capoluogo di provincia, come per le scuole pubbliche governative, altre scuole per il corso elementare e il medio, riservando all’Università musicale il corso superiore. Ma… questo, dati i momenti che corrono, potrebbe parere utopistico. E allora non c’è che un mezzo: il Conservatorio racchiuda in sé, come fa attualmente, i tre corsi, elementare, medio, superiore, ma si procuri di ovviare almeno all’inconveniente principale, di impedire cioè che l’allievo, malgrado la lunga durata dei tre corsi, pervenga alla Laurea musicale a vent’anni e… talvolta anche prima. Siamo franchi; questa è appunto l’età in cui un giovane, generalmente, comincia a comprendere qualcosa: a questa età l’allievo dovrebbe iniziare il corso superiore, non ultimarlo.

Ma ben altre importantissime riforme necessitano: ad es. l’eccessiva limitazione d’età, specialmente per la Scuola di Teoria Musicale Superiore: perché non accettare gli allievi delle Scuole Medie letterarie e tecniche fino a che la discreta istruzione raggiunta ed una maggiore maturità permetta loro di frequentare con rapido profitto la Scuola puramente musicale?

Contraria allo sviluppo del Conservatorio è pure la limitazione del numero di allievi: a questo inconveniente si può facilmente ovviare con l’istituzione delle classi parallele aggiunte.

C.Scaglia, L’ambiente musicale italiano e le responsabilità dei Conservatorii di musicaAlessandria, Tipografia Cooperativa 1910

(continua)

 

CARLO SCAGLIA, Per la riforma dei Conservatorii, in «Rivista Musicale Italiana», XXVI, giugno 1919, pp. 338-360

 

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