L’Età della Valutazione, che per il sistema universitario ha avuto origine alla fine del secolo scorso con la Dichiarazione di Bologna e con la conseguente adesione alla European Higher Education Area, e poi con la successiva costituzione diciotto anni fa della European Association for Quality Assurance in Higher Education (ENQA), deve la sua nascita soprattutto dalle mutate disponibilità dello Stato a farsi carico dei costi del sistema universitario. Altro che internazionalizzazione, altro che rafforzamento della cittadinanza europea. Naturalmente un indebolimento delle costose, complicate e centralizzate valutazioni ex-ante, considerate invece da qui in poi legittimo ambito d’azione delle singole Istituzioni (la c.d. Autonomia), e  l’affidamento a soggetti più o meno “terzi” di una valutazione ex-post non possono per forza di cose (grandi numeri e maggiore distanza dall’oggetto della valutazione) non fondarsi, attraverso un modello ben consolidato da tempo nel mondo anglo-sassone, altro che su elementi quantitativi. Secondo i sostenitori di tale tipo di valutazione, su elementi quantitativi, su algoritmi così raffinati da riuscire a traslare sul piano della Qualità. Tale modello ha tra i suoi scopi primari, ricordiamo, una migliore allocazione delle risorse (= una riduzione di costi per lo Stato).

Ci fu qualcuno che, dedicando alla questione il primo libro della sua Logica, osservò come in effetti non possa darsi divenire senza cambiamento quantitativo, e che differenze meramente quantitative possano risolversi a un certo punto in differenze qualitative; fu lo stesso filosofo, tuttavia, a mostrarci come la Quantità non sia altro che qualcosa che sta in mezzo tra il sensibile e il pensiero, e come la sua incidenza assuma significato per le scienze della natura, ma non, o in misura assai inferiore, per le scienze dello spirito. Tuttavia, nonostante il nostro scetticismo circa la possibilità che ambiti particolari come quello dell’istruzione vengano sottoposti a sensate misurazione della Qualità attraverso la Quantità (quante citazioni, quanti concerti, quante pubblicazioni, quante e-mail, quante aule, etc.), esistono però, sul piano del funzionamento di un sistema, che andrebbe considerato nella sua totalità, a partire proprio dal motore (spesso immobile) che avrebbe il compito di farlo funzionare, alcuni atti dovuti la cui assenza o presenza appartengono a buon diritto, in un elementare sistema binario, al regno della Quantità: un atto dovuto può esserci o non esserci, né, se ci fosse, essendo “dovuto”, avrebbe alcun senso valutarlo nuovamente da un punto di vista qualitativo.

Oggi uno spettro si aggira per l’Italia: lo spettro del DM 382 (Armonizzazione dei percorsi formativi della filiera artistico-musicale adottato ai sensi dell’articolo 15 del decreto legislativo 13 aprile 2017, n.60)Ricordate? A oltre un anno dall’uscita del Decreto Legislativo 60/2017 (e quindi con oltre sei mesi di ritardo sulla scadenza che quel decreto indicava, ma va bene così), l’undici maggio scorso la Ministra Fedeli ormai dimissionaria firmava finalmente quel che si era ben guardata dal firmare nei tempi previsti, e che fondava le proprie radici, attraverso un paio di passaggi, nel ben noto punto g) della Buona Scuola («promozione della cultura umanistica, valorizzazione del patrimonio e delle produzioni culturali e sostegno della creatività»).

Quel giorno il sito Miur proclamava trionfalmente:

È stato emanato oggi, ed è disponibile sul sito del MIUR, il decreto che prevede la possibilità per gli Istituti Superiori di studi musicali e coreutici previsti dalla legge 508/1999 e dal dpr 212/2005 di organizzare corsi propedeutici per la preparazione delle prove per l’accesso ai corsi di studio accademici di primo livello dell’Alta formazione artistica, musicale e coreutica (AFAM). Una formazione di altissimo livello che punta a intercettare e valorizzare, fin dalla scuola secondaria di II grado, i talenti di studentesse e studenti, rafforzando il rapporto fra il sistema dell’istruzione e quello dell’AFAM. Il decreto si inserisce nell’ambito di un più complessivo piano di rilancio della promozione dell’arte e della cultura umanistica nel sistema scolastico e di istruzione superiore previsto dalla legge 107 del 2015 e ha avuto ieri il via libera in Conferenza Unificata.

Fra i criteri indicati per l’organizzazione dei corsi ci sono la durata (che per gli Istituti musicali non potrà superare il triennio e per la danza gli 8 anni), la compatibilità con la frequenza della scuola secondaria, l’obbligo del rilascio, al termine del percorso formativo e a richiesta dell’interessato, di una certificazione attestante il programma di studio svolto, gli obiettivi formativi raggiunti e la durata del corso propedeutico.

Per armonizzare l’attività e l’offerta formativa delle Istituzioni AFAM sono stati predisposti, in appositi allegati al decreto, i requisiti di accesso per ciascun corso propedeutico e gli obiettivi formativi e ilivelli tecnici previsti per l’ammissione al relativo triennio accademico. Sono state definite, inoltre, le competenze e la preparazione necessarie ai fini dell’ammissione al primo anno della sezione musicale dei Licei musicali e coreutici.

Ricorderete anche che tutta l’operazione (soprattutto la sostituzione dei pre-accademici con nuovi corsi propedeutici di durata ragionevolmente assai più breve) aveva scatenato una “franca dialettica” tra il mondo dei Conservatori e quello dei Licei Musicali. Il tema era diventato da subito quella della durata: il massimo chiedevano in sostanza i primi, il minimo quegli altri. Alla fine il compromesso ministeriale aveva individuato in tre anni la durata massima, scontentando probabilmente gli uni e gli altri.

In effetti appena dopo l’uscita del Decreto Ministeriale lo scorso mese di maggio sono comparse diverse critiche (ad esempio FLC-CGIL e Federazione Gilda-Unams), anche se va detto che il prodromico Atto del Governo 382 (poi D.Legisl. 60/2017), presentato alle commissioni parlamentari il 16 gennaio 2017, era stato oggetto di un acceso dibattito, ma aveva poi acquisito due mesi dopo un parere favorevole del Parlamento, pur con osservazioni.

Si possono avere le opinioni più varie sul Decreto 382: noi, francamente, non ce ne siamo mai innamorati.

Ci si domanda però ora: che fine ha fatto? A quanto ci risulta, a distanza di oltre quattro mesi non sarebbe stato ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale; perché? Si può intervenire su un atto governativo in fondo compiuto, firmato dal ministro pro-tempore e approvato poi dalla Conferenza unificata, surgelandolo come un merluzzo o un pacco di piselli? Quanti mesi può rimanere nel limbo un decreto approvato? Pressioni, opinioni, proteste, richieste: tutto legittimo, ma non era ormai un po’ tardi?

Ricordiamo che l’art. 73 della nostra Costituzione prevede che le leggi (certo, questo è solo un D.M.) siano pubblicate subito dopo la loro promulgazione, e che la sentenza 163/1963 della Corte Costituzionale, scriveva che «l’art. 73, nello stabilire che le leggi sono pubblicate “subito dopo” la promulgazione, pone un obbligo preciso al Governo, cui pertanto rimane inibita ogni discrezionalità nella scelta del tempo per l’adempimento della potestà relativa, che deve essere limitato a quello strettamente necessario per le operazioni materiali richieste». Quattro mesi di “operazioni materiali”?

E soprattutto, quel decreto prevedeva alcune scadenze piuttosto chiare. Intanto, dall’anno successivo alla sua entrata in vigore, l’attivazione dei corsi propedeutici. Il 17 maggio la Conferenza dei Direttori aveva chiesto di posporre questo effetto al 2019/2020, il 22 il Miur aveva cripticamente risposto che «considerato che il suddetto decreto attuativo contiene misure che incidono in modo assai rilevante nella predisposizione dell’offerta formativa da parte dei Conservatori di musica, e che l’iter procedurale dello stesso DM è ancora in itinere, atteso che è previsto l’invio agli organi di controllo per gli adempimenti di competenza e la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, si ritengono condivisibili le preoccupazioni espresse dalla Conferenza dei Direttori. Nell’ambito dell’esercizio della propria autonomia e alla luce delle considerazioni espresse i Consigli Accademici e i Consigli di Amministrazione potranno quindi adottare i provvedimenti ritenuti necessari e sostenibili per il corretto avvio dell’anno accademico».

Da qui, liberi tutti: qualcuno i propedeutici li ha attivati, qualcuno no (ma non chiedevano i Direttori proprio di evitare che, dati i tempi ristretti, l’applicazione delle norme del decreto avvenisse all’interno del sistema in modo non omogeneo?). Quindi, se la pubblicazione del decreto dovesse ora slittare a dopo il 1°novembre (quindi con attivazione dei propedeutici dal 2019/2020) chi li avesse già attivati per l’anno prossimo forse dovrebbe ora disattivarli?

Altre prescrizioni contenute nel 382, agli articoli 5, 6 e 8:

  • «Le Istituzioni, entro il termine perentorio del 31 ottobre di ciascun anno, pubblicano all’albo e sul loro sito internet l’elenco dei brani all’interno dei quali gli studenti possono definire il programma per gli esami di ammissione ai corsi di Diploma Accademico di Primo Livello»: lo facciamo?
  • «Le Istituzioni modificano i propri Regolamenti didattici adeguando le modalità di svolgimento delle prove di ammissione ai corsi di Diploma accademico di primo livello, sulla base di quanto indicato nella allegata Tabella A»: lo facciamo?
  • riguardo ai “giovani talenti” «le Istituzioni in uno specifico Regolamento approvato dal Consiglio Accademico e, per quanto di competenza, dal Consiglio di Amministrazione, disciplinano in particolare: le modalità per l’iscrizione ai corsi e per il pagamento dei contributi previsti; la modalità della frequenza delle lezioni che deve necessariamente tener conto della contemporanea frequenza di altra scuola; l’articolazione del percorso formativo che deve essere personalizzato in base all’età e alle esigenze formative dello studente; le modalità per il riconoscimento, all’atto dell’iscrizione al corso accademico, dei crediti acquisiti e delle attività formative svolte»: lo facciamo?
  • «Ogni Liceo musicale e coreutico rende pubbliche entro il 15 ottobre di ogni anno scolastico le informazioni riguardanti i criteri che regolano l’accesso alla sezione musicale e le modalità di svolgimento dell’esame di ammissione»: lo devono fare?

 

Su questa e altre questioni in fondo così semplici (vedi il caso CNAM e le ripetute inadempienze delle due Ministre precedenti), valutabili, queste sì, anche per via puramente quantitativa (0/1, sì/no, acceso/spento), cosa avrebbe da dire un’ipotetica e indipendente Agenzia del Sistema d’Istruzione Nazionale (ASIN)?

 

 

 

 

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