Il Decreto Ministeriale 14 pubblicato il 9 gennaio 2018, proprio sul finire della scorsa legislatura, è stato salutato con soddisfazione da più parti. Tra bienni, propedeutici e reclutamento -si saranno detti in molti-  ora l’Afam sembrerebbe disporre davvero di un quadro di riferimento coerente e in grado di consentire certezze e sviluppo per tutto il settore.

Non ribadiremo qui quanto già manifestato altrove circa il pasticcio dei corsi pre-accademici/propedeutici (il decreto non c’è ancora) o la questione ormai stucchevole del reclutamento (sapientemente “sospesa” in periodo pre-elettorale, una volta raggiunti in Legge di Bilancio i risultati sul precariato): vogliamo solo mettere in luce alcuni aspetti del DM 14 che dovrebbe traghettare le istituzioni Afam, o assai più probabilmente alcune di esse, verso un assetto quasi compiuto (mancherebbero poi i dottorati…) di formazione artistica terziaria.

Per far ciò proponiamo un confronto con due decreti relativi all’ambito universitario che ci aiuteranno a capire come il trattamento riservato ai due settori sia piuttosto diverso: il D.M. 22.10.2004 n. 270 (Modifiche al regolamento recante norme concernenti l’autonomia didattica degli atenei) e il DM 16.03.2007 che determinò le classi di laurea magistrale.

Anzitutto l’ossessione per la proliferazione, degna degli eresiarchi di Uqbar.  Il requisito per l’istituzione di due corsi afferenti alla medesima Scuola (o classe, per quanto riguarda l’università) è diverso: ci vogliono almeno 40 crediti caratterizzanti diversi per l’Afam (come per le lauree di primo livello universitarie), ne bastano invece 30 (senza ulteriori specificazioni) per i corsi di Laurea Magistrale dell’università. Si dirà che le classi (Antropologia culturale e etnologia, Archeologia, Architettura del paesaggio…) sono ambiti meno angusti delle Scuole (Arpa, Clarinetto…), oppure che i decreti giudicano meno abominevole la proliferazione universitaria, pur già piuttosto ricca, rispetto a quella Afam.

Entriamo ora nell’ambito più propriamente cabalistico. Per le materie dei SAD “di base” (il riferimento è ai DD.MM. 124/2009 e 120/2013), sembra che proprio nei confronti dei Conservatori il trattamento sia un po’ speciale. Anzitutto, relativamente all’università il D.M. 270 recita: «I decreti ministeriali individuano preliminarmente per ogni classe di corsi di laurea magistrale gli obiettivi formativi qualificanti e le attività formative caratterizzanti indispensabili per conseguirli», mentre il D.M. del 2007 «Gli ordinamenti didattici dei corsi di laurea [magistrale] devono assicurare agli studenti una solida preparazione sia nelle discipline di base, ove previste, che in quelle caratterizzanti».

Non sarebbe stato più utile lasciar libere le scuole di decidere, anche sulla base della tipologia del proprio specifico bacino di “utenza”, se attingere per l’ennesima volta ai SAD di base?

Così non è:  gli Istituti Superiori di Studi Musicali, le Accademie di Belle Arti, l’Accademia Nazionale di Danza e l’Accademia Nazionale di Arte Drammatica devono inserire in base al DM 14 almeno 12 crediti (e fino a 18) per attività relative alla formazione di base, mentre gli ISIA parrebbero esentati dall’obbligo (possono inserire fino a 18 crediti).

Del resto, se si volesse poi arricchire il percorso con ulteriori discipline caratterizzanti, il limite per gli ISSM è di 12 crediti ulteriori, mentre per Accademie di Belle Arti, Accademia Nazionale di Danza e Accademia di Arte Drammatica il minimo è di 24 crediti ulteriori (e il massimo sembrerebbe 48-15=33). Gli ISIA devono invece inserire in partenza almeno 54 crediti caratterizzanti, con la possibilità di aggiungerne altri 24 (totale almeno 78).

Il numero massimo di esami è 14 per l’Afam, mentre è 12 per l’Università (era 20 per le lauree triennali universitarie).

Il D.M. del 2007 prevede poi una norma piuttosto interessante, e dall’utilità evidente, soprattutto nel rapporto con il privato “accreditato” presente e futuro; norma che è invece inspiegabilmente assente nel nostro Decreto 14: «Le Università di norma attivano corsi di studio con i nuovi ordinamenti di cui al presente decreto, mediante apposite deliberazioni, […] tenendo conto delle esigenze che insegnamenti corrispondenti ad almeno 60 crediti siano tenuti da professori o ricercatori inquadrati nei relativi settori scientifico-disciplinari e di ruolo presso l’ateneo, ovvero in ruolo presso altri atenei sulla base di specifiche convenzioni tra gli atenei interessati. Nessun professore o ricercatore di ruolo può essere conteggiato in totale più di due volte per insegnamenti comunque tenuti in corsi di laurea o in corsi di laurea magistrale, sia nel proprio che in altri atenei». Norma analoga compare nell’analogo decreto di istituzione delle classi di laurea triennale (almeno 90 crediti su 180).

L’impressione (il timore) è che le complesse (e forse inevitabili) operazioni cabalistiche che sovrintendono alla compilazione dei piani di studio produrrà probabilmente qualcosa di assai diverso e di assai più complesso (ricordate la recente operazione sui Bienni di Didattica della Musica?) di quanto ormai da anni è ormai acquisito a livello europeo.

È facilmente comprensibile, per vari motivi, la prescrizione dei 12 crediti relativi alle attività di base. Anzi, quella prescrizione potrebbe sembrare quasi una tutela non tanto e non solo della funzione di chi insegna in quei settori, quanto invece di tutto un settore pubblico inevitabilmente in quegli ambiti meglio strutturato di quello privato. Ma anche questo aspetto è in realtà piuttosto fragile: chi vieterà a un’Accademia privata di inserire quei 12 crediti come attività “di gruppo” («con interazione tra docente e discenti»), dimezzando di conseguenza il relativo monte-ore?

Senza voler riconoscere necessariamente alle istituzioni straniere una qualche supremazia culturale (che si tratti di scuole strutturatesi solidamente nel tempo, collocate al centro dell’interesse politico-culturale, e dunque assai ben finanziate è dato però indiscutibile), proviamo a osservare come sono disegnati  ad esempio i Master (Bienni) di pianoforte presso la Hochschule di Hannover, quella di Vienna e il Conservatorio di Lione.

Anche perché il lavoro cabalistico che si sta approntando in Italia, e che probabilmente a seguito delle valutazioni Anvur sarà tra qualche mese in gran parte inutile, potrebbe trovare forse un senso ormai quasi solo e esclusivamente all’interno di un’ottica di “concorrenza”, purtroppo è così, appunto con gli istituti europei.

Hannover prevede che 88 crediti siano attribuiti alla materia “principale”: 44 ogni anno, nell’ultimo semestre suddivisi tra esame finale (15 crediti per studio autonomo) e lezioni individuali per 7 crediti.  Ogni anno ci saranno poi 6 crediti per materie “complementari pratiche” e 4 per “complementari teoriche”. Infine ogni anno 6 crediti andranno a progetti con studio autonomo.

Vienna invece attribuisce alla materia “principale” 76+4 crediti, oltre a 8 per la prassi della musica contemporanea (totale 88 crediti di “prassi”), 10 per la tesi, 2 per i seminari, 14 per materie teoriche e 6 per materie a scelta.

Lione, il più simile al modello italiano, attribuisce alla materia che dà nome al corso 61 crediti, che sommati ai 20 per la tesi fanno però 81; 12 sono i crediti di musica da camera e, per gli strumenti d’orchestra, ci sono due annualità da 3 ore settimanali e 6 crediti annui sulla musica del XX e XXI secolo. Quattro crediti complessivi son poi destinati alla metodologia applicata all’oggetto della ricerca e agli aspetti pratici della professione (conferenze e incontri con operatori e organizzatori musicali). Anche Parigi ha un’impostazione simile: alla materia “principale” si affianca una materia a scelta, la lingua straniera, l’eventuale orchestra, e poi solo (poche) materie legate o alla prova finale o ai rapporti con il mondo del lavoro (Méthodologie de recherche, Aspects pratiques du métier, Mise en situation professionnelle e Initiation à la pédagogie).

 

Hannover

Vienna

Lione

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