In un’interessante intervista rilasciata ieri alla «Tecnica della Scuola» il deputato Nicola Ciracì (Conservatori e Riformisti), promotore dell’intergruppo parlamentare TFA e presidente del Conservatorio di Lecce, nonché autore della recente interrogazione parlamentare 4-13072 in cui chiedeva di considerare i docenti inclusi nella graduatoria 128/2013 «utili sia per incarichi a tempo determinato che indeterminato», ha espresso alcune  opinioni e alcuni suoi auspici riguardo all’imminente “riordino” del settore Afam.

Ne emergono una visione ispirata al “modello francese” (cinque o sei Conservatori Nazionali), una riduzione di organico con ricorso a incentivi al pensionamento, una governance affidata solo a soggetti iscritti in un albo ministeriale.

Più nel dettaglio:

  • creazione di un sistema misto con fondi Miur, Mibact e privati che seguano, come dice il ministro, il modello francese;
  • completamento dell’autonomia, riduzione dell’organico con incentivi al pensionamento e reclutamento nuovi docenti con regole certe e uniche nazionali;
  • nuova governance degli istituti, che però non può seguire la logica corporativa del “rettore” eletto in casa, ma lo indichi tra soggetti con esperienza nella gestione della pubblica amministrazione iscritti in un apposito albo ministeriale;
  •  introduzione di istituti musicali comunali, o meglio di area vasta, per gli studenti tra i 6 e i 13 anni;
  • tre-cinque scuole speciali per “talenti” musicali in tutta Italia: dei college dove i ragazzi possano vivere senza dover viaggiare e perdere tempo, aperte a tutte le età, dai 6 ai 18 anni;
  • conclusione della fase del precariato, riconoscimento di un doppio canale ai tieffini [?] che di fatto hanno già superato un concorso;
  • nuovo reclutamento: dovrebbe avvenire con concorso per conservatorio nazionale. Ne basterebbero cinque o sei per l’intera nazione;
  • ritornare a premiare competenza e meritocrazia;
  • far sbarcare Conservatori e accademie a Pechino o Seul: d’altronde l’Afam è la vera bandiera del Made in Italy;

E se cominciassimo finalmente a chiamarli Riformatòri questi Conservatòri riformati a metà? Se la loro ragion d’essere fosse ormai appunto solo quella di essere riformati, di nutrire il ceto dei Riformatóri? Se questo perenne stadio di incompiutezza, di instabilità, se questi continui richiami al merito (di altri, di chi non c’è, naturalmente), all’eccellenza (quella oleosa, vinosa o patinata del made in Italy), avessero in realtà proprio il benemerito compito di rieducarci, di favorire un domani il nostro reinserimento sociale, il nostro pre-pensionamento?

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