Intervento presentato a Milano il 6 giugno 2017 in occasione dell’incontro “Prospettive per l’AFAM”.

(Qui il pdf delle slides utilizzate durante l’intervento)

Correva l’anno 1999: anno della legge 508 (che determina la riforma del nostro settore), della 509 (relativa invece all’Università) e anno della dichiarazione di Bologna.
E’ nel 1999 che il destino della nostra formazione superiore si incontra e si intreccia con quello della formazione superiore in Europa.
Il ministro che firma la 508 è Luigi Berlinguer, e non è un caso.

Berlinguer, in quanto ministro della pubblica istruzione dell’Italia, era stato uno dei ministri, con Germania, Inghilterra e Francia, che si erano incontrati l’anno ecedente a Parigi alla Sorbona per discutere insieme della Convenzione di Lisbona del 1997 .
La Convenzione di Lisbona è un documento sul riconoscimento dei titoli di studio relativi all’insegnamento superiore in Europa e che, partendo dal riconoscimento dei titoli di studio, punta a creare uno spazio europeo di mobilità: quindi possibilità per gli studenti di spendere il proprio titolo ovunque in Europa e allo stesso tempo garanzie sul riconoscimento dei periodi di studio all’estero. Ovviamente il valore di tutto non è solo nella possibilità di muovere i giovani, c’è un valore superiore, che è quello di andare verso una Europa sempre più unita e perciò sempre più forte. C’è l’obiettivo di formare una generazione di cittadini sempre più consapevolmente europei.
Attenzione però che la Convenzione di Lisbona viene decisa da UNESCO e Consiglio d’Europa, è come se idealmente in qualche modo già dall’inizio i confini travalicassero quelli dell’Europa.

Comunque il titolo della Dichiarazione di Bologna è: “Lo Spazio Europeo dell’Istruzione Superiore”, e con questa Dichiarazione viene dato il via ai lavori del processo di Bologna.
La scadenza che i ministri dell’istruzione si danno per creare lo spazio europeo dell’istruzione superiore è il 2010.
Nella slide vedete i principali obiettivi del Processo di Bologna.
Le parole chiave sono Armonizzazione dei titoli di studio, sistema con due cicli principali, sistema dei crediti, promozione della mobilità, valutazione della qualità. La Dichiarazione di Bologna venne firmata da 29 paesi.
Il cammino dal 1999 ad oggi è segnato da una serie di conferenze interministeriali, ognuna delle quali ha cercato di fare un passo in avanti verso la creazione di questo Spazio Europeo.

Queste sono le interministeriali che si sono susseguite:
Accanto ad alcune ho aggiunto qualche parola chiave che mi è sembrata particolarmente significativa nel nostro discorso presa dai comunicati elaborati da ciascuna conferenza, documenti che sono estremamente rilevanti perché sono sottoscritti dai governi e ne orientano le scelte politiche e strategiche.
Nel 2010 nasce ufficialmente lo Spazio Europeo dell’Istruzione Superiore. I firmatari della Dichiarazione di Bologna, che inizialmente erano 29, sono diventati 47 nel 2010.

L’ultima conferenza è stata quella di Yerevan nel 2015, nella quale si riafferma la visione ispiratrice della Dichiarazione di Bologna di uno Spazio Comune dell’Istruzione Superiore all’interno del quale i diversi paesi con tradizioni politiche, culturali e accademiche diverse lavorano insieme, con obiettivi condivisi e impegni comuni. La dimensione di riferimento non è più solo quella europea e sono sempre più i paesi extra- EU che si interessano al processo di Bologna. Le nuove parole chiave sono: inclusione – comprensione interculturale – pensiero critico – tolleranza – valori democratici e civili.

Accanto ai compiti tradizionali dell’istruzione superiore, che sono insegnare, quindi trasmettere conoscenza, e fare ricerca, quindi creare nuova conoscenza, si mette in evidenza una terza missione. Che in realtà è solo un diverso atteggiamento mentale: vivere la nostra professione con la consapevolezza del ruolo che l’istruzione superiore ha nella società.

La prossima conferenza sarà nel 2018, a vent’anni dall’incontro alla Sorbona, e sarà di nuovo a Parigi. Quindi con la Dichiarazione di Bologna (1999) si mette in moto un meccanismo che produce una serie di decisioni vitali per tutto il sistema dell’istruzione superiore in Europa, e per il sistema della formazione musicale.
La Dichiarazione di Bologna è stata un terremoto, peggio, uno tsunami per i Conservatori europei.

Molti conservatori si muovevano in una sorta di territorio ambiguo e non ben definito, e la Dichiarazione di Bologna venne vista sul momento come una minaccia in quanto sembrava escludere una parte delle istituzioni dal settore della formazione superiore. Ma era vista come una minaccia anche dalle istituzioni che erano sicuramente eleggibili a rilasciare titoli di primo livello, perché non era per nulla sicuro che avrebbero potuto rilasciare anche titoli di secondo livello. Erano molto poche le istituzioni per le quali era chiaramente garantita la possibilità di rilasciare titoli di primo, secondo e terzo livello.

Il desiderio prevalente nei Conservatori europei era in realtà continuare la propria attività di insegnamento tradizionale, continuare a rilasciare gli stessi titoli “professionali” del passato, perché tutto questo aveva funzionato bene per generazioni e generazioni di musicisti. A sentirsi particolarmente minacciati erano i paesi dell’Europa meridionale.

E’ a questo punto che l’Associazione Europea dei Conservatori entra in gioco.

L’AEC era stata fondata nel 1953, per sviluppare i rapporti tra Conservatori in Europa, e soprattutto con i paesi dietro la cortina di ferro; la sede era in Svizzera, e aveva due presidenti, uno per l’Europa occidentale e uno per l’Europa orientale. Dopo la caduta del muro di Berlino nel 1990, si passò alla presidenza unica.
Arriviamo al 1999. Durante il congresso annuale dell’AEC tenutosi a Bucarest, i membri provenienti dai paesi dell’Europa meridionale chiesero un dibattito di emergenza sulla Dichiarazione di Bologna e sulle sue implicazioni. Il problema centrale era il diritto per i conservatori europei di rilasciare titoli di primo e secondo livello come le università.

Venne quindi elaborata una Dichiarazione nella quale:

-si accoglieva il principio dei due cicli;
-si affermava la parità di dignità tra gli studi universitari e quelli svolti nei conservatori di musica;
-si sostenevano i conservatori di Spagna, Portogallo, Italia e Grecia affinché i rispettivi governi riconoscessero questa parità di dignità;
-l’associazione metteva a disposizione dei singoli paesi l’esperienza dei propri membri nella valutazione e nell’assicurazione della qualità dei corsi di studio in musica.

Questo documento fu il primo di una serie di documenti elaborati e diffusi dall’AEC e connessi col Processo di Bologna e con tutti gli step successivi che sono stati segnati dalle varie Conferenze di cui abbiamo parlato prima. E il ruolo dell’AEC è stato molto rilevante sia nella fase di transizione che negli sviluppi successivi.

L’implementazione del Processo di Bologna non è stata cosa facile. Dopo una prima opposizione nel tentativo di conservare le proprie strutture tradizionali, si è poi arrivati gradualmente in tutti i paesi d’Europa a strutture in più cicli.
Vi parlavo prima della reazione sull’immediato dei conservatori europei.
Da questo magma in movimento nasce una generazione di musicisti/didatti i quali vedono nel processo non un’imposizione burocratica ma un’opportunità, e iniziano a lavorare a nuovi curricula da adottare all’interno dei conservatori europei post-riforma. L’AEC ha cercato di incoraggiare questo fenomeno positivo collaborando allo sviluppo dei Risultati di Apprendimento (Learning Outcomes) per i diversi cicli. Nel 2004 viene pubblicato un documento per il primo e il secondo ciclo.

Molti di voi si ricorderanno un importante Convegno che si tenne proprio qui a Milano nel 2005, “Musicisti domani: La riforma dei Conservatori dalla sperimentazione all’ordinamento”. Nel corso di questo Convegno vennero presentati proprio i “Risultati di apprendimento” elaborati dall’AEC, i quali erano l’applicazione nello specifico ambito musicale dei descrittori dei titoli di studi adottati in sede europea (Descrittori di Dublino).

Sicuramente tutti voi avete molto chiaro il DPR 212 del 2005. Sicuramente ancora più chiaro avete il documento di quest’anno (2017) col quale il ministero ha fornito alle istituzioni AFAM indicazioni precise per l’istituzione dei corsi e queste indicazioni fanno chiaramente riferimento ai descrittori di Dublino. Il titolo del documento è:
CRITERI PER UNA VALUTAZIONE OMOGENEA DEGLI ORDINAMENTI
DIDATTICI DEI CORSI DI STUDIO FORMULATI AI SENSI DEL D.P.R. 212/05
E’ scritto che i risultati di apprendimento attesi vanno indicati “anche con riferimento al sistema di descrittori dei titoli di studio adottato in sede europea”.

Vi ricordate le parole chiave che avevo evidenziato a proposito delle conferenze di Berlino e Bergen?
Cosa era accaduto:
Con la dichiarazione di Bologna era stata introdotta una struttura a cicli, ma presto ci si rese conto che non era sufficiente, e che questa struttura doveva essere supportata da maggiori dettagli sui risultati di ciascun ciclo, se si volevano raggiungere gli obiettivi di trasparenza, riconoscibilità dei titoli e mobilità accademica. In altre parole, non basta dire che la formazione superiore si deve articolare in un primo ciclo e in un secondo ciclo (e poi in un terzo) affinché poi un titolo sia riconosciuto in tutti i paesi. Come facciamo a dire che un diploma accademico di primo livello, magari in pianoforte, conseguito in Italia o Francia deve valere quanto un diploma accademico conseguito in Austria o in Olanda. Bisogna che i due titoli siano in qualche modo comparabili con riferimento a ciò che si sa e si sa fare a conclusione degli studi. E quindi si decise di definire cosa bisogna sapere e saper fare a conclusione di ciascuno ciclo.
Se noi vogliamo che i nostri titoli siano riconosciuti in Europa, non basta un nome, diploma accademico di primo livello, o di secondo, e di domani di terzo. Serve che a conclusione di quel percorso di studi i giovani abbiano acquistato competenze comparabili. La nostra autonomia è nel definire la strada specifica che vogliamo che i nostri giovani seguano per acquisire quelle competenze.

Questa è la sintesi di ciò che è avvenuto in quegli anni: 2003 – 2004 – 2005.

Vedete che nel 2007 l’AEC ha pubblicato i risultati di apprendimento per il terzo ciclo.
L’impegno dell’AEC verso la ricerca artistica è continuato negli anni successivi, ad esempio dando vita a una Piattaforma Europa per la Ricerca Artistica in Musica.

La storia continua. Nel 2006 nasce in Italia l’ANVUR, la nostra Agenzia nazionale di valutazione, come conseguenza della conferenza di Bergen, 2005, e le linee guida per l’assicurazione della qualità alle quali si attiene sono quelle approvate dai ministri a Bergen. Alla base c’è l’idea che affinché possa esserci il riconoscimento dei titoli non basta che la descrizione dell’offerta formativa sia chiara e trasparente (i risultati di apprendimento), ma deve esserci la garanzia che ciò che è previsto sulla carta venga anche attuato in concreto.

Anche sull’assicurazione della qualità l’Aec ha compiuto un grosso lavoro, sempre con lo scopo di fornire ai propri membri strumenti di lavoro efficaci nella direzione delle indicazioni europee, e sempre traducendole nel nostro specifico linguaggio di istituti di formazione musicale superiore.

L’ultimo atto rilevante è la nascita di MusiQuE – Music Quality Enhancement, una Agenzia indipendente per l’assicurazione della qualità e l’accreditamento per l’Alta Formazione Musicale.

Io mi devo fermare qui, perché il tempo è limitato.

Spero però di essere riuscita a dare un’idea di come la nostra storia sia strettamente legata a quella della riforma dell’istruzione superiore in tutta Europa, e di come l’AEC abbia supportato attivamente i suoi membri in questo cammino verso l’internazionalizzazione iniziato nel 1999.

Lucia Di Cecca

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