In molti si domandano/ci domandiamo quali saranno gli effetti e le ricadute della recente conversione in legge del decreto-legge 30 aprile 2022, n. 36 (recante ulteriori misure urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza) sul misterioso e tuttora segretissimo Reclugolamento; ad esempio per quanto riguarda la mobilità.

La recente conversione, infatti, pur non abolendo di fatto e in assoluto la procedura di trasferimento, consente di derogare all’attuale disciplina (l’art. 30, c. 2 bis del D. Legisl. 165/2001) che prevede che le Pubbliche Amministrazioni «ricoprano posti vacanti in organico mediante passaggio diretto di dipendenti appartenenti a una qualifica corrispondente e in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento».

Un atto preliminare, dunque, che dovrebbe trovare poi applicazione e definizione all’interno del Reclugolamento, e, naturalmente, principalmente in sede contrattuale.

Poiché è però difficile pensare che la trafila per chi da “dentro” aspiri a trasferimento possa essere davvero identica a quella di chi “da fuori” ambisca al reclutamento, pur ricadendo entrambe le trafile all’interno del comune principio ispiratore dell’Autonomia e del “prioritario interesse dell’Istituzione”, che ribalta copernicanamente il rapporto tra (aspirante) lavoratore e datore di lavoro, un piccolo passo indietro di cinque anni fornisce un piccolo esempio, proprio attraverso la mancata realizzazione di un atto, di come potrebbe andare a finire la faccenda.

Correva l’anno 2017, l’estate era da poco terminata, il Governo Renzi era caduto da nove mesi, quando il MIUR illustrò ai sindacati una bozza di Reclugolamento, che, come non sarebbe invece avvenuto due anni dopo col DPR 143/2019, conteneva lì una specifica sezione dedicata appunto ai trasferimenti:

Art. 5
(Trasferimenti di personale docente di ruolo)

  1. Nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 2, le istituzioni, disciplinano i trasferimenti del personale docente in servizio a tempo indeterminato, assicurando la valutazione comparativa dei candidati attraverso procedure riservate a coloro che hanno maturato almeno tre anni accademici di permanenza nelle istituzioni AFAM, anche se in aspettativa ai sensi della normativa vigente.
  2. Ai fini del presente articolo si utilizzano i principi e criteri di cui all’articolo 4 [“selezione pubblica per titoli ed esami, formulando al termine una graduatoria composta da un numero di soggetti pari al massimo ai posti messi a concorso, in ordine decrescente di punteggio, dove il punteggio massimo attribuibile è pari a 100; svolgimento di una prova didattica a carattere teorico o pratico in relazione alla tipologia di insegnamento, cui riservare almeno 40 punti, della durata di 45 minuti, cui sono ammessi esclusivamente i candidati che ottengono almeno 25 punti nella valutazione dei titoli”], con l’unica eccezione riguardante i titoli che sono graduati come di seguito indicato. Titoli (minimo 70 punti):
    1. attività di insegnamento svolta con contratti a tempo indeterminato o determinato nei precedenti 5 anni con possibilità di graduare il punteggio in relazione all’affinità con il settore disciplinare messo a concorso (minimo 10 punti);
    2. qualificate esperienze a livello nazionale nell’attività di produzione artistica, scientifica o professionale nei precedenti 5 anni (minimo 5 punti);
    3. qualificate esperienze a livello internazionale nell’attività di produzione artistica, scientifica o professionale nei precedenti 5 anni (minimo 5 punti);
    4. premi e riconoscimenti nazionali per attività artistica, scientifica o professionale nei precedenti 5 anni (minimo 5 punti);
    5. premi e riconoscimenti internazionali per attività artistica, scientifica o professionale nei precedenti 5 anni (minimo 5 punti);
    6. anzianità di servizio a tempo indeterminato (minimo 10 punti);
    7. esigenze certificate di ricongiungimento familiare (minimo 10 punti).

Le O.O.S.S., che chiesero il rinvio delle procedure di reclutamento a T.I. all’a.a. 2021/2022 per consentire il pieno assorbimento del precariato (oggi notoriamente assente), sul punto insistettero affinché le norme sulla mobilità venissero semplicemente cassate e che sul punto ci fosse un esplicito rimando al CCNL. Il governo cadde otto mesi dopo, e tra una cosa e l’altra non se ne fece nulla. Poi, con il nuovo Parlamento e il governo giallo-verde fu il DPR 143/2019, la “vera iattura funebre per il sistema“. Ma questa è altra storiella.

Son passati tanti anni, è vero; gli ottimati dell’Afam non si erano ancora convertiti dinanzi al bagliore folgorante e allineante dell’Abilitazione Nazionale [anzi, va detto di come la Ministra Giannini nel 2016, in margine a quel Reclugolamento che mai riuscì a portare a termine, aveva più volte espresso la sua contrarietà, fondandola peraltro sul concorde parere di una mitologica “Commissione di Esperti Afam”], è vero; tre governi si sono succeduti in pochi anni dopo il governo Gentiloni, e di acqua (e altro) ne è passata molta sotto i ponti. Verissimo.

Tuttavia, senza voler proporre essoterie oggi, ahinoi, indisponibili, vi offriamo questa piccola incursione nella mobilità del paleofuturo, del tempo che non si è mai realizzato; come puro divertissement estivo. Come innocua lettura alternativa a quella che ci è attualmente riservata: quella dei fondi di caffè.

 

 

 

 

 

 

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