Il recente rapporto Almalaurea 2021, presentato il 18 giugno scorso nell’Aula Magna dell’ex-Monastero di Sant’Agostino dell’Università degli Studi di Bergamo alla presenza della Ministra Messa, ha messo in luce, accanto ai consueti temi relativi ai risultati occupazionali dei laureati (l’ultimo studio dedicato all’Afam risale al 2016) alcune problematiche relative alla didattica a distanza nelle università italiane.

«La didattica a distanza, rispetto a quella in presenza, è preferita da una netta minoranza degli studenti: si tratta di poco più del 20%, composto da un 5,7% che la preferisce “decisamente” di più e da un 15,6% che la preferisce solo “leggermente”. Tra gli aspetti della didattica a distanza è particolarmente apprezzata la possibilità di rivedere le lezioni registrate (80,3%). Questa motivazione è considerata più rilevante dagli studenti di primo livello e dai magistrali biennali (82,6% e 79,2% rispetto al 70,9% tra i magistrali a ciclo unico, forse anche per la natura stessa di tali percorsi) e da quelli di informatica e tecnologie ICT (93,9% rispetto al 65,4% del giuridico, collocato a fine scala). Un ulteriore aspetto apprezzato dagli studenti che preferiscono la didattica a distanza è la possibilità di frequentare le lezioni senza raggiungere la sede (78,4%). Questo aspetto è preferito da coloro che sono rimasti a studiare nella stessa ripartizione geografica (79,5%), un po’ meno, invece, da chi ha compiuto una migrazione di lungo raggio cambiando ripartizione geografica (71,5%). Probabilmente questa differenza, comunque non particolarmente elevata, è dovuta soprattutto alla maggiore presenza di pendolari tra chi studia all’interno della stessa ripartizione geografica che, si ipotizza, apprezzino di più questo aspetto. Il terzo aspetto più importante legato alla DAD è la possibilità di organizzare il tempo autonomamente (76,5%). Le altre motivazioni di chi preferisce la didattica a distanza sono, in ordine decrescente di importanza, la riduzione dei costi sostenuti per frequentare l’università (55,8%), l’efficacia dell’organizzazione degli esami (28,5%), la possibilità di mettersi in contatto con i docenti più facilmente (21,9%), l’efficacia delle lezioni (21,5%).

[…] A prescindere da quanti preferiscano l’una o l’altra forma di didattica, l’82,2% esprime una valutazione complessivamente positiva della didattica a distanza, senza particolari differenze per tipo di corso, ripartizione geografica e dimensione dell’ateneo. Verosimilmente gli studenti hanno apprezzato la tempestività con cui le varie realtà universitarie si sono attrezzate per mantenere la continuità delle lezioni. Tra i gruppi disciplinari si osserva una soddisfazione leggermente inferiore all’80% nei gruppi arte e design (78,1%), letterario-umanistico (78,9%), architettura e ingegneria civile (79,0%), medico-sanitario e farmaceutico (79,4%) e scienze motorie e sportive (79,7%); al contrario supera l’85% nei gruppi educazione e formazione (86,7%) e informatica e tecnologie ICT (86,4% e dove circa un quarto degli studenti sono decisamente soddisfatti)».

Al termine della presentazione del Rapporto il presidente del consorzio Almalaurea, prof. Ivano Dionigi, ha però manifestato grandi preoccupazioni.

Rilevato come l’Italia sia una sorta di Giano bifronte, tra enormi talenti e difficoltà persistenti, ha osservato come l’unico ente pubblico che abbia realmente retto durante la pandemia sia stato l’università. Ciononostante, e anche per le difficoltà incontrate dalla scuola, ha osservato come durante gli ultimi mesi si sia creato un buco culturale, che lascerà inevitabili cicatrici psicologiche. Se il compito della politica è occuparsi ad esempio di diritto allo studio, compito specifico supplementare dell’università è dire al paese come le cose devono andare, non semplicemente descrivere come vanno. Il mondo universitario, in qualche modo privilegiato, in quanto non toccato dai problemi in cui si è imbattuta la scuola, né soprattutto da perdite di posti di lavoro, deve ora parlare al Paese, ne ha la responsabilità.

Il male necessario della DAD, ha proseguito, ha creato una mala educazione. Il pigiama e lo smartphone rischiano di prevalere; c’è il rischio che nonostante la riapertura completa delle Università gli studenti vengano nuovamente risucchiati all’interno delle loro case.

Prima del prof. Dionigi, anche il presidente della CRUI, prof. Ferruccio Resta, si era occupato nel corso del suo intervento conclusivo anche del tema della didattica a distanza. Bisogna trasformare l’Università, oggi aula, in esperienza, – ha affermato – anche per poter competere con il rischio che piattaforme del tipo di Netflix entrino con tutta la loro forza tecnologica e i loro mezzi nel settore della formazione superiore.

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