Qualche settimana fa il MIUR ha accreditato un paio di Corsi Accademici di Secondo Livello di una prestigiosa Accademia della moda, nata negli anni ’60 del secolo scorso da un’idea di un sarto napoletano.

Osservando i piani di studio approvati dall’ormai mitica Commissione per… che nelle more… etc. etc., non ci si può non porre qualche domanda, almeno a proposito dello strano sentiero che percorriamo ormai da vent’anni e senza molti segnavia.

Come è noto (e ce lo ricorda la recentissima Circolare 10517 del 25 marzo 2019 che ha come oggetto Indicazioni operative per l’accreditamento e le modifiche dei corsi di diploma accademico di primo e secondo livello A.A. 2019-2020), i corsi di studio degli ISSM sono vincolati dai criteri di cui al DM 154 del 2009, che applicano, per gli ISSM, l’art. 6, comma 3, del D.P.R. 8 luglio 2005, n. 212. Si tratta della celebre distinzione tra lezioni Individuali, di Gruppo, Collettive e Laboratori e del relativo ingabbiamento attraverso forbici di ore in rapporto ai crediti attribuiti. Quel che interessava qui, ben prima di qualsivoglia considerazione di natura didattica, era evidentemente calmierare le ore di insegnamento, tenuto conto del peccato originale degli ISSM di cui al celebre articolo di Sergio Rizzo: le lezioni individuali! Per ogni credito attribuito attraverso lezione individuale, ricordiamo, la forchetta va da 1,5 a 6 ore di insegnamento (con l’invito poi, nei fatti, ovviamente a star bassi).

Per le Accademie di Belle Arti la Ministra Gelmini produsse invece un decreto piuttosto diverso, che distingueva le attività formative tra Teoriche, Teorico-Pratiche e Laboratoriali, quindi, almeno apparentemente, tenendo conto del “contenuto” di quei corsi, prima che delle modalità di erogazione. Qui per le Teoriche (il grado più “pesante”) si andava da 6 a 9 ore, per le Teorico-Pratiche da 10 a 15, e via di seguito.

Il Ministero, e ce lo ricordano le Linee Guida ministeriali, non ritenne invece di normare la questione per ISIA, Accademia di Danza e Accademia di Arte DrammaticaIn assenza di specifici decreti applicativi dall’articolo 6 del D.P.R. 212/05 e in relazione alle peculiarità di tali istituzioni, la definizione del rapporto ore crediti e la porzione dell’impegno orario da riservare allo studio individuale e alle altre forme di didattica andrà stabilita all’interno dei regolamenti didattici delle singole istituzioni»). Singolare.

Ma un’Accademia del tipo di quella cui facevo cenno all’inizio, accreditata quale Istituzione privata all’interno dell’AFAM, quale logica deve ragionevolmente seguire per i suoi piani di studio? È libera come un ISIA, simile a un’Accademia di Belle Arti o a un ISSM? Piuttosto sorprendentemente il decreto di accreditamento dei corsi di Biennio cita in premessa il DM 3 luglio 2009, n. 90 e il DM 30 settembre 2009, n.124: proprio quelli relativi agli ISSM. E gli stessi piani di studio presentano tutti i corsi come “di Gruppo” (secondo le categorie ISSM, debordando di un po’ tuttavia dalla relativa forbice). Un modello davvero più simile a quello universitario di quanto non sia quello dei poveri ISSM, ancorati al costoso fardello delle lezioni individuali! Per la sola prova finale di uno dei due corsi, stabilisce l’Accademia, son previste 300 ore di lezione individuali. Tanto, direte voi, è privata; che male c’è?

Sembra davvero incontestabile che l’ingabbiamento abbia fin qui riguardato prevalentemente gli ISSM, costretti a interpretare, ad esempio, le lezioni “di Gruppo” non già come lezioni rivolte a gruppi (es.: la musica d’insieme), ma piuttosto come mezze porzioni di insostenibili lezioni individuali, o a considerare le forchette sempre dal lato più basso, o a immaginarsi prove finali preparate altrove, in una bolla spazio-temporale.

Ma l’altra domanda, quella più scabrosa, è quale sia il grado di organicità di un settore che tiene insieme i Quartetti di Bartók, Assassin’s Creed e una giacca di alta sartoria napoletana? Fino a quale categoria merceologica si può allargare (o può scendere) il contenitore senza del tutto snaturarsi, posto che tutto ciò che viene prodotto oggi nasce, fin dalle premesse, dal rispetto di una “regola d’arte”?

Due ipotesi, forse, per la corretta interpretazione dell’antico tetragramma:

  1. Altra Formazione Artistica e Musicale: tutto ciò che non si sa dove infilare altrove, ovvero nei percorsi consueti  e storicamente costituiti della formazione “superiore”;
  2. Alta Formazione Artistica e Musicale: tutto ciò che puzza un po’ di elitario (la giacca di Alta sartoria, la musica Alta e di nicchia, le Alte tecniche esoteriche dei videogiochi).

Non sarebbe il caso forse, se non si ha ormai più la capacità di immaginare reali gerarchie estetiche, di ripensare quantomeno a fin dove possano spingersi le affinità (sono davvero necessari sei gradi o ne bastano forse un po’ meno?), magari considerando per una volta la distinzione tra performativo e non-performativo? Non sarebbe il caso forse di ripensare a una Formazione Musicale che voglia essere ciò che dev’essere, che non si preoccupi troppo di apparire alta, bassa, grassa o magra, e che al contempo non sia disposta a rinunciare alla collocazione che le compete all’interno della formazione superiore?

L’alternativa è una situazione in cui tutto rimane stipato, e tuttavia con gradi di libertà di movimento assai diversi, all’interno dello stesso contenitore indifferenziato, presumibilmente in virtù di una delle due interpretazioni di cui sopra.

Davvero bisognerebbe evitare a questo punto la perdita peggiore, per dirla con il nostro resartus: la perdita di tempo.

 

 

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