La domanda è provocatoria, ma non troppo. Fino ad oggi, salvo la ricerca svolta nel 2015 nell’ambito del progetto europeo Working with Music su un campione molto ristretto, non esistono dati ufficiali del Miur, né delle singole istituzioni, sugli esiti occupazionali dei diplomati dei Conservatori. E visto che i Conservatori vogliono formare professionisti, è come dire che a 17 anni dalla riforma il sistema dell’alta formazione musicale non conosce i risultati della propria attività, e quindi le ragioni della propria esistenza.

Ora invece cominciano ad arrivare da Almalaurea i primi dati sulla condizione lavorativa dei diplomati a uno/due anni dal conseguimento del diploma. I dati sono stati presentati al seminario “Esperienze lavorative dei diplomati AFAM e ruolo della mobilità internazionale” organizzato presso il Miur il 12 e 13 maggio 2016 da Almalaurea, CHEER (ex Processo di Bologna), Erasmus Plus. Il seminario era riservato ai direttori, ai referenti Erasmus e ai referenti CHEER delle istituzioni, ma i dati presentati sono pubblicati nel sito del Processo di Bologna (qui) e sono quindi di pubblico dominio.

L’arrivo di questi dati è importante, e abbiamo detto all’inizio perchè. Nel tentare di commentarli – e di aiutare chi andrà a guardarseli – occorre premettere alcune considerazioni. La prima è che la rilevazione si riferisce a 1840 diplomati di 16 istituzioni Afam aderenti al consorzio Almalaurea, senza distinzione fra Conservatori e Accademie di Belle Arti. E’ vero che i Conservatori sono la maggioranza delle istituzioni Afam aderenti al consorzio, ma non è tuttavia possibile scorporare i dati ad essi relativi. Per fare un esempio, nel classificare le professioni svolte dagli intervistati una delle categorie è “Specialisti in discipline artistico-espressive”, e viene specificato che essa comprende “compositori, musicisti, cantanti”, ma anche “pittori, scultori, disegnatori, restauratori e, in misura minore, registi, direttori artistici, attori, sceneggiatori, scenografi” e “artisti delle forme di cultura popolare, di varietà e acrobati”.

A questa prima osservazione se ne deve aggiungere un’altra, che riguarda i criteri secondo i quali sono stati raccolti i dati, e presumibilmente impostati i quesiti dai quali i dati discendono. Gli intervistati sono collocati in tre macro-gruppi: diplomati di primo livello, diplomati di secondo livello, diplomati secondo il “vecchio” ordinamento. Tutti i dati raccolti sono riferiti esclusivamente a questi tre macro-gruppi, e non sono riconducibili ai singoli corsi di diploma.

Ora, il fine ultimo di una rilevazione sui destini professionali dei diplomati non può essere che quello di dare all’istituzione formativa indicazioni su come modificarsi, come adeguarsi ai tempi e alle necessità del mondo esterno. Però sappiamo che l’istituzione “ragiona” secondo la propria logica, cioè secondo il proprio modello didattico/organizzativo. Per capirsi, nel caso dei Conservatori, secondo i propri corsi di diploma: pianoforte, violino, clarinetto, canto, composizione e così via.

Ebbene, una rilevazione sugli esiti occupazionali dei diplomati, cioè sul successo di una istituzione formativa professionalizzante (quale il Conservatorio vuole essere), riuscirà a “parlare” a coloro che vi operano solo se parlerà nella loro logica, cioè in termini di pianoforte, violino, clarinetto, canto, composizione e così via. In altre parole solo la presenza di dati sul successo lavorativo corso per corso potrà generare nelle istituzioni una pressione a modificare i corsi stessi: quel che si insegna, e come. Cioè a intraprendere un cammino di riforma sostanziale, che investa la carne viva della didattica e non solo l’architettura istituzionale dei curricoli – come finora è prevalentemente avvenuto.

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 Tutto ciò premesso, guardiamo più da vicino le tabelle e estrapoliamo alcuni risultati che ci sembrano interessanti, raccomandando tuttavia al lettore un esame dettagliato dei dati (il link è qui sopra al 2° capoverso).

L’indagine riguarda i diplomati nel 2013 e nel 2014, interrogati rispettivamente a 2 anni e a 1 anno dal conseguimento del titolo. Di questi il 53% si dichiara occupato, ma la percentuale sale al 71,6 per il II livello e scende al 41,8 per i diplomati di vecchio ordinamento. Oltre la metà degli occupati dichiara di lavorare part-time, con una punta nei diplomati di vecchio ordinamento. Sono tutti valori che per poter essere stimati andrebbero confrontati con i dati corrispondenti del sistema universitario.

Degli occupati, che come abbiamo visto sono un po’ più della metà, si dichiara “stabile” il 40,8%: dunque circa il 22% degli intervistati. E per stabile s’intende il rapporto a tempo indeterminato (poco più della metà) e il lavoro autonomo “effettivo” (poco meno della metà: non pochi dunque, ma cosa s’intende per effettivo?). Il 34,5% degli occupati dichiara “contratti non standard”: non so bene cosa significhi ma certo non sono pochi.

Quanto ai settori di occupazione, l’indagine distingue fra “specialisti dell’educazione e della formazione” (che comprendono gli insegnanti di discipline artistiche e letterarie) e “professori di scuola secondaria e post secondaria”: presumibilmente, di altre discipline. I due settori sommati danno lavoro al 43% degli occupati, mentre gli “specialisti in discipline artistico-espressive” (che dovrebbero comprendere le attività performative) sono circa il 20%. Questi dati essendo alternativi fra loro non consentono di valutare quanti hanno sia attività didattiche sia performative (e sono certamente molti) e quindi vanno presi con una certa cautela.

Una zona certamente cruciale della rilevazione è quella che riguarda la coerenza fra studi compiuti e lavoro svolto. Nella sezione “utilizzo e richiesta del diploma accademico nell’attuale lavoro” si legge che ben il 20,3% degli occupati non utilizza “per niente” le competenze acquisite con il diploma, e la percentuale sale al 25% per i diplomati di vecchio ordinamento. Questi dati fanno il paio con quelli della “richiesta del diploma accademico per l’attività lavorativa”: per il 25% degli occupati (un po’ meno fra i diplomati di secondo livello) il diploma non è “né richiesto né utile”. Dunque circa un quarto di coloro che lavorano a 1 o 2 anni dal conseguimento del titolo fanno un lavoro che non è per nulla attinente con gli studi che hanno fatto. Sono molti? Pochi? Difficile dirlo. Certamente c’è una quota non trascurabile di diplomati per i quali il Conservatorio non è stato “professionalizzante”.

Un dato interessante e forse curioso riguarda la formazione ulteriore dopo il conseguimento del titolo cui l’intervista si riferisce. Alla domanda se seguano un altro corso di diploma (di I o II livello) ha risposto sì il solo 7% dei diplomati di II livello, e questo si capisce. Ha risposto sì anche il 21% dei diplomati di vecchio ordinamento: dunque un quinto di loro continua gli studi nonostante l’equipollenza del titolo già conseguito a quello di II livello. Ma il dato forse più sorprendente è che soltanto il 33% dei diplomati di I livello dichiara di essere iscritto a un altro corso di diploma accademico.

Qualche considerazione interessante riguarda le “caratteristiche dell’azienda” dove lavorano. Come abbiamo visto prima, il 43% dichiara di lavorare come docente. E il 48% dichiara di lavorare nel settore “istruzione e ricerca”. Ma il 58% degli occupati (con punte di 75 per i diplomati di I livello e di 62 per quelli di vecchio ordinamento) dichiara di lavorare nel privato. Dunque, in sostanza, molti lavorano nelle scuole private.

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Un discorso a parte riguarda le esperienze all’estero. Il convegno in cui la rilevazione è stata presentata aveva come tema “verificare l’ipotesi che le esperienze internazionali contribuiscano a sviluppare specifiche competenze personali e professionali utili ad aprire nuovi sbocchi lavorativi per i diplomati”. Ebbene i risultati appaiono per lo meno problematici rispetto a questa ipotesi. Ma vediamo qualche dettaglio.

Ha effettuato esperienze di studio all’estero l’11,5% degli intervistati. Il voto medio di diploma era 108,2 contro il 104,9 di coloro che all’estero non sono andati. Dunque all’estero ci sono andati i più bravi, o andando all’estero si diventa più bravi. E ci si diploma un po’ prima: l’età media del diploma è 26 mentre per gli altri è 28 (come si vede, l’età media è comunque decisamente alta, e sale a 31 anni per il II livello). Il tasso di “soddisfazione per l’esperienza di studio all’estero” è “decisamente sì” nel 90,1% dei casi.

Invece un tirocinio o uno stage (quindi un’esperienza professionale) all’estero è esperienza di circa il 3% degli intervistati. Il tasso di “soddisfazione per l’esperienza di tirocinio o stage svolta” è del 100% per coloro che avevano già avuto un’esperienza di studio all’estero, e del 86,4% per quelli che non l’avevano avuta.

E fin qui tutto bene.

Ma. La condizione occupazionale di coloro che hanno avuto esperienze di studio all’estero sembra lievemente peggiore di quella di coloro che non le hanno avute (50,9% contro 53,6%). Anche il tipo di lavoro sembra giocare a sfavore delle esperienze all’estero: sono considerati “stabili” il 42,2% degli occupati che non sono stati all’estero, il 29,6% di quelli che ci sono stati. Dunque meglio stare a casa e cercarsi subito il posto? Infine: il part-time è più alto fra gli “esteri” (68,5% contro 53,3%), e il guadagno medio mensile netto è più alto per i “non-esteri”: €949 contro €782.

Non saprei come interpretare questi dati, che in parte sembrano andare contro la percezione comune. Nel report ufficiale di Almalaurea-Cheer si leggono tuttavia valutazioni positive: rimando il lettore al testo linkato.

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In conclusione: nel deserto ministeriale, è molto importante che Almalaurea abbia cominciato a fare questo tipo di rilevazioni. Però i dati delle istituzioni musicali devono poter essere disaggregati da quelli delle Accademie. Inoltre è da sperare che i questionari e le interviste siano tarati in modo da dare risposte pertinenti e dettagliate riguardo alla specifica organizzazione delle istituzioni Afam, e dei Conservatori (e assimilati) in particolare. Solo così le rilevazioni potranno “penetrare” nelle istituzioni e suscitare in esse quelle reazioni e quelle riflessioni che ne sarebbero il risultato ultimo e il fine stesso.

E infine, in questa logica bisogna sperare che le adesioni delle istituzioni ad Almalaurea aumentino, per poter estendere all’intero settore il raggio delle indagini.

 

Sergio Lattes

https://www.docenticonservatorio.org/wp-content/uploads/2016/05/seminario_afam.pnghttps://www.docenticonservatorio.org/wp-content/uploads/2016/05/seminario_afam-150x150.pngSergio LattesapprofondimentinotizieLa domanda è provocatoria, ma non troppo. Fino ad oggi, salvo la ricerca svolta nel 2015 nell'ambito del progetto europeo Working with Music su un campione molto ristretto, non esistono dati ufficiali del Miur, né delle singole istituzioni, sugli esiti occupazionali dei diplomati dei Conservatori. E visto che i...