(continua)

Oggi la scuola di Composizione può tutt’al più disporre della Biblioteca del Conservatorio, sotto determinate regole e restrizioni. In qualche Conservatorio può anche, di quando in quando, servirsi dell’orchestra, se vi siano (e non sempre vi sono) esercitazioni degli allievi a questo scopo.

Ma le scuole di pianoforte, di violino e di strumenti ad arco in genere, di organo, d’arpa, di strumenti a fiato, di canto individuale e corale sono organismi a parte che nessun contatto hanno, né devono avere nell’ordinamento attuale, colla scuola di composizione. Gran mercè se queste scuole, convenientemente sollecitate, concedano qualche allievo, che all’esperimento finale si presti ad eseguire i saggi degli allievi di composizione. Quanto a sottometterle alle esigenze del programma da me accennato, sicché esse collaborassero attivamente al suo svolgimento, sarebbe oggi pretendere l’assurdo. Sarebbe – lo riconosco – uno scompaginarle e un trasformarle radicalmente, come appunto a me sembra necessario.

Che esistano di professori stipendiati per apprendere a suonare il violino, il pianoforte o il canto gratuitamente a giovani che bene spesso potrebbero pagarsi quest’istruzione (per l’ammissione nei Conservatori non è necessario essere sprovvisti di mezzi di fortuna), può essere, è anzi indubbiamente, comodo ed utile.

Ma questa utilità non corrisponde più alla spesa fatta per ottenerla, quando – come nell’ordinamento attuale – non si approfitta di un’organizzazione musicale completa, quale è rappresentata dal Conservatorio, per insegnare la musica; e si disgrega invece questo organismo in altrettante cellule, che raggiungono appena, o sorpassano di poco, l’efficacia e i risultati dell’istruzione privata.

Insegnare, infatti, a cantare o a suonare un istrumento – come dissi fin da principio – non vuol dire insegnare la musica. […] In modo inverso precisamente a quello che è oggi praticato, la musica, nella sua più ampia significazione ed essenza, dovrebbe essere lo studio principale del Conservatorio. Tutti gli altri – canto, violino, pianoforte e la composizione stessa – dovrebbero divenire le materie complementari.

Può darsi (e non è lecito neppure asserirlo con certezza) che si uscirebbe dal Conservatorio provvisti di minore virtuosità tecnica; ma non si uscirebbe più, come oggi, sprovvisti di coltura musicale. E virtuosi, se necessario, si può diventare, in un anno o due, anche fuori dal Conservatorio; mentre la coltura musicale non si rifà più quando, usciti dal Conservatorio, assillano le esigenze della professione e della vita; e, tanto meno, quando difettano ormai i mezzi tecnici necessari a procurarsela.

Ma v’ha di più.

Elevato così il Conservatorio a scuola di coltura musicale, ne seguirebbe logicamente che lo potesse frequentare anche chi non intenda di fare della musica una professione.

 

(continua)

 

 

GIACOMO OREFICE, Conservatorio o Università musicale? in «Rivista Musicale Italiana», XXV/3-4, luglio-dicembre 1918, pp. 462-480

 

Qui la prima parte dell’articolo.

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