Da circa dieci anni, ormai, insegno composizione nel Conservatorio di musica di Milano. Posso quindi, coscientemente, esprimere l’opinione che i Conservatorî non rispondono più alle esigenze della nostra coltura e della nostra arte nazionale […]

Occorre aggiungere subito che l’organismo dei nostri Conservatorî è informato a un criterio fondamentale che non permette loro alcun adattamento alle imprescindibili necessità dell’ora presente, e deve essere perciò mutato radicalmente.

I nostri Conservatorî, infatti, malgrado la lustra delle cosiddette materie complementari, quali la Storia della musica e l’Armonia, continuano a rimanere semplicemente scuole di educazione degli organi vocali o di insegnamento dell’uno o dell’altro strumento. Non sono invece, affatto – o sono in misura troppo insufficiente – quello che dovrebbero essere: scuole di musica; scuole di coltura musicale.

Questa affermazione può sembrare strana. E, tuttavia, per ciò che concerne le scuole di canto e di strumenti in genere che ho testè nominate, è facile rendersene ragione, considerando che nei Conservatorî – scuole di educazione musicale pubbliche – si fa, presso a poco, anzi, con minore intensità, quello che si fa nell’istruzione musicale privata. Si insegna, ripeto, a cantare e a suonare uno strumento. Il che è ben diverso – come intendo appunto dimostrare – dall’insegnare la musica.

Più difficile è il convincersi che scuola di musica e di coltura musicale non sia neppure quella che dovrebbe esserlo per eccellenza: la scuola di composizione […]

Il programma dei nostri Conservatorî dimentica semplicemente che armonia, contrappunto e composizione, rispetto all’evoluzione storica della musica, sono una stessa cosa, sono un tutto inscindibile. Ché, se è possibile dedurre le regole di una buona grammatica dalla letteratura classica di una lingua, perché questa lingua, salvo gli inevitabili neologismi, è da secoli stabilmente formata, non è altrettanto facile stabilire una grammatica della musica; linguaggio che è in formazione continua, e i cui perfezionamenti incessanti non distruggono, né menomano spesso, l’importanza di alcuni momenti storici in cui questi perfezionamenti non erano ancora stati raggiunti.

In musica un formulario qualsiasi può servire tutt’al più a illustrare il momento speciale dell’arte in cui quel formulario era in uso; e, sotto l’aspetto didattico, a esercitare l’allievo nella imitazione delle forme nate e vissute in quell’epoca.

E quindi, se può essere utile, e magari necessario, stabilire delle regole anche per l’insegnamento della musica, tale utilità cessa d’un tratto, per divenire invece un assurdo didattico, quando tra regole e musica vi sia contraddizione assoluta.

L’unico mezzo per evitare questa contraddizione è quello di coordinare l’insegnamento delle regole con quello delle forme musicali da cui quelle regole furono dedotte, e a cui possono quindi riadattarsi. Coordinamento che può ottenersi solamente seguendo il processo storico di origine e di sviluppo delle varie forme musicali; e ricavando dall’analisi di quelle forme le norme secondo le quali furono costruite.

(continua)

 

GIACOMO OREFICE, Conservatorio o Università musicale? in «Rivista Musicale Italiana», XXV/3-4, luglio-dicembre 1918, pp. 462-480

 

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