Nei prossimi giorni si entrerà nella fase cruciale della trattativa tra l’Aran (Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni) e le Associazioni sindacali per la riduzione degli attuali 11 comparti, in cui è diviso il pubblico impiego, a soli 4 come a suo tempo imposti dalla riforma Brunetta.

Il grafico pubblicato nei giorni scorsi da Il Sole 24 Ore illustra molto bene gli accorpamenti previsti e gli ordini di grandezza dell’operazione in termini di personale e di retribuzioni dei diversi comparti (evidenziato in giallo quello AFAM).

Comparti

Come è facilmente comprensibile la principale difficoltà risiede nell’uniformare ambiti contrattuali e retributivi così disomogenei. Il rischio che molte organizzazioni sindacali denunciano è poi l’omogeneizzazione al ribasso delle diverse categorie e la perdita di alcune peculiarità contrattuali.

In particolare il nostro prossimo Comparto della conoscenza comprenderebbe:

1 milione e 30 mila dipendenti della scuola con uno stipendio medio annuale lordo di 29.130 euro.
101 mila dipendenti dell’Università (solo il personale tecnico delle Università, non quello docente) con uno stipendio medio annuale lordo di 42.917 euro
20 mila degli enti di ricerca con uno stipendio medio annuale lordo di 40.039 euro
9 mila dell’alta formazione artistica e musicale con uno stipendio medio annuale lordo di 35.496 euro.

Per tentare di trovare la giusta composizione dei comparti, il Ministro della Pubblica amministrazione, Marianna Madia, ha recentemente firmato un atto di indirizzo nel quale chiede all’Aran di definire l’accordo nazionale attenendosi ad alcuni criteri direttivi e tra questi quello di “salvaguardare i settori che sono caratterizzati da una spiccata specificità”, un riferimento che sembrerebbe comprendere pienamente il comparto AFAM. Questo sembra far presagire la creazione di nuovi macro-comparti organizzati in spiccati settori che potrebbero mantenere gran parte delle tipicità dei vecchi comparti, almeno per il personale attualmente in servizio.

Un ulteriore problema ancora irrisolto riguarda la questione di non poco conto della rappresentanza sindacale. L’aggregazione dei comporti renderà infatti necessaria anche quella tra i sindacati in quanto occorre una soglia minima del 5% (tra media iscritti e voti) per rappresentare ai tavoli i dipendenti pubblici. Questo obbligherà probabilmente le sigle più piccole e settoriali  a confluire in quelle più grandi.  Un punto che sembra decisivo per chiudere la trattativa come ammette la stessa Aran che, convocando i sindacati per lunedì 4 aprile, ha fatto sapere di aver messo a punto “una proposta che dovrebbe auspicabilmente risolvere i nodi principali ed in particolare il passaggio della vecchia misurazione della rappresentanza all’interno dei nuovi quattro comparti”. Raggiunta l’intesa tra le parti si potrà avviare la trattativa per il rinnovo dei contratti bloccati da quasi sette anni.

 

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