Avvertenze

  1. Chi scrive è in pensione. Salvo quindi tagli generalizzati delle pensioni – ogni tanto se ne parla – il suo reddito è al riparo da ogni ripercussione delle eventuali iniziative del ministro Giannini. Questo è un privilegio, non intendo negarlo. Mi consente infatti di dire cose che possono risultare magari “impopolari” o sgradevoli. Me ne scuso fin d’ora, ma non credo che solo per questo debbano necessariamente essere sbagliate.
  2.  Come fonte per le mie considerazioni ho preferito la registrazione audio di Radio Radicale piuttosto che i resoconti e le sintesi – anche ufficiali – che sono stati diffusi dopo. Poiché si tratta in sostanza non di atti formali, ma di una analisi della situazione e di una serie di dichiarazioni d’intenzioni, il “viva voce” del ministro mi è sembrato preferibile ai documenti ufficiali, che sono sempre frutto di ripensamenti e aggiustamenti.

Giannini ha detto alcune cose importanti, soprattutto perché dette da un ministro. Ha detto che l’educazione musicale nella scuola (quello che ha chiamato “modello flauto dolce”) ha sostanzialmente fallito. Ha detto, e non è una novità ma lo dice appunto il ministro dell’istruzione, che l’Italia è un paese musicalmente analfabeta, non solo a livello di cultura musicale diffusa ma anche a livello di diffusione della pratica musicale. Ha detto che la formazione musicale, al pari di quella linguistica e di quella scientifica, ha tanto più possibilità di successo quanto più precocemente inizia. Ha detto che, con l’attuale sistema, solo pochissimi bambini hanno effettivamente la possibilità di sperimentare la pratica di uno strumento musicale. Ed è vero: tutte le Smim e tutti i pre-accademici sono una goccia nel mare della popolazione scolastica.

Tutto ciò è il presupposto di quanto propone: il percorso verticale (che lei ha definito “unitario”) della formazione musicale va abbandonato, per costruire un sistema che “metta in rete”, dal livello base a quello intermedio degli studi musicali, la scuola generale – nella quale la formazione musicale va fortemente implementata – con le istituzioni deputate, prevalentemente o esclusivamente, alla formazione musicale. Istituzioni, ha specificato, ancora da definire. Scenari, ha detto, da discutere in Parlamento. Scenari che presuppongono comunque lo “scorporo” della fascia preaccademica degli studi musicali da quella accademica. Separandone organizzazione, funzionamento, governo.

Questa impostazione contrasterebbe efficacemente ciò che io chiamo la “selezione inefficiente” operata dai Conservatori di musica. Questi infatti sono prevalentemente popolati da studenti che hanno superato un esame di ammissione da bambini, o da ragazzini. Per carità di patria non parlo di come è condotto questo esame (in molti casi). Ma quanti lo fanno? Non è dato saperlo: i Conservatori si sono rivelati estremamente restii a far conoscere i dati sulle domande d’ammissione (non sulle ammissioni effettuate) quando glieli abbiamo chiesti come sito aasp.it. Certamente i bambini o ragazzini che tentano l’accesso al Conservatorio sono un numero irrisorio rispetto al bacino territoriale virtuale di ogni istituto, cioè alla popolazione scolastica di quel bacino. Un ristretto numero di bambini che per luogo di abitazione, per censo e/o per cultura della famiglia possono, se ammessi, essere accompagnati in Conservatorio due o tre giorni alla settimana. Quindi una selezione ingiusta sul piano dell’accessibilità sociale, e una selezione inefficiente dal punto di vista dell’istituzione. Inefficiente per la poca attendibilità dei test di ammissione (esiste poi un test che possa predire con certezza a 10/12 anni la vocazione a una professionalità musicale? non è solo un lungo percorso a poterlo dire?). Inefficiente perché condotta su una base numerica estremamente ristretta e casuale.

Giannini ha poi detto che non basta aggregare o redistribuire le istituzioni sul territorio così come sono oggi, e così come previsto dalla legge 508/99 (nella parte non attuata). Porterebbe forse a risparmi, ma la questione è oggi, dice, il rilancio del sistema, e la diffusione capillare della cultura e della pratica musicale fin dall’età scolare. Il sistema quindi va scomposto e ricomposto in profondità, e la densità territoriale ne risulterà diversa a seconda dei diversi livelli. Le aggregazioni – su un modello di diffusione regionale o anche in qualche caso interregionale – riguarderebbero il livello accademico, che dovrà comprendere il livello magistrale (Biennio) e anche il livello del dottorato oggi assente, come scontano dolorosamente i nostri ragazzi che vanno all’estero e si misurano con i loro colleghi in Europa. Le aggregazioni dovrebbero tener conto sia dell’ampiezza del bacino d’utenza, sia delle caratteristiche e vocazioni dei vari distretti territoriali.

Meno chiaro è il discorso del ministro sul primo livello accademico, visto che ha citato per la “nuova” distribuzione territoriale solo il titolo magistrale e il dottorato. Forse pensa, per il triennio, a una distribuzione territoriale intermedia fra quella dei pre-accademici e quella delle istituzioni superiori con titolo magistrale e dottorato. Forse.

Ne consegue comunque che un certo numero delle attuali sedi/istituzioni conserverebbe solo il livello pre-accademico, in un rapporto di “rete” con il sistema scolastico generale che consenta l’accesso (senza esami di ammissione) alla formazione musicale più approfondita, o pre-accademica, ai ragazzi che lungo il percorso scolare vengano manifestando attitudini più spiccate.

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A questo disegno non si può negare l’onore della ragionevolezza. In fin dei conti, si tratta dello stesso principio che ispirava i grandi progetti generali di riforma della musica nella scuola fin dagli anni ’70 e ’80 del Novecento: quando io ero giovane e speranzoso. E del resto, non si è sempre criticata la legge 508 (generata, non si dimentichi, per non dire imposta da un vincolo internazionale, il “Processo di Bologna”) perché cominciava dal tetto? Ecco che Giannini vuole costruire anche le fondamenta e i piani inferiori.

Che poi questo disegno comporti delle difficoltà di realizzazione in ordine allo stato giuridico ed economico dei docenti, per verità è questione d’altra natura, che non dovrebbe condizionare a priori ogni riflessione e ogni progetto. La riforma delle Poste non si fa per i postini.

Una breve annotazione vorrei fare sull’intervento di Giannini a proposito della governance degli istituti. Mi sembra si sia creato un equivoco, dovuto all’improprio uso della parola presidente da parte del Ministro. In realtà ascoltando le sue parole si capisce abbastanza bene che si ipotizza un’unica figura elettiva, anche esterna, sul modello del rettore universitario: che unisca cioè le prerogative oggi divise fra direttore e presidente, e presieda sia il Cda che il CA. Il direttore amministrativo si trasformerebbe in direttore generale, designato dal Cda come oggi avviene solo in teoria, visti i meccanismi del reclutamento.

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Come si usa dire, il problema però è un altro.

Dall’insediamento dell’attuale governo sono passati 26 mesi. In questo periodo si è continuato – come già in precedenza – a intervenire sul settore Afam non con gli atti necessari al completamento della 508 ma con provvedimenti spot, slegati da qualsiasi richiamo a un disegno generale. O meglio, se un disegno era sotteso, era quello di ritenere impossibile il completamento della 508. E di ciò l’intervento del ministro del 30 marzo al Senato è la conferma. Per di più, questi interventi spot sono stati disseminati in provvedimenti eterogenei – leggi di stabilità, leggi sulla scuola generale – il che oltretutto rende difficile la semplice conoscenza delle norme vigenti.

Ora, dopo 26 mesi di Cantieri, di Chiamate alle arti e quant’altro, il ministro ci dice finalmente come vede la faccenda. E si scopre che il suo disegno non è quello contenuto nei voluminosi papiri appunto dei vari Cantieri e Chiamate alle arti: non si era mai parlato, per esempio, di separazione istituzionale e territoriale del livello pre-accademico. E non è cosa da poco: per le questioni giuridiche del personale, ma sopratutto per le implicazioni di carattere didattico che deriveranno dall’abbandono dell’istituzione “verticale” che gestisce al suo interno il curricolo dall’inizio degli studi al diploma. Implicazioni che potrebbero essere salutari, voglio essere chiaro: il concetto di “scuola” che si trasmette solo con l’esempio pratico, senza alcuna mediazione culturale, e che deve essere omogenea lungo tutto il percorso, è vecchio e meriterebbe una riflessione collettiva dei docenti. Però implicazioni didattiche così ampie presuppongono un lavoro di aggiornamento, di riflessione, di riqualificazione del corpo docente che andrebbe messo, questo sì, in cantiere.

Un breve commento anche a quanto esposto sul tema del reclutamento. Giannini sintetizza efficacemente le criticità della questione, e sottolinea come la 508 aveva posto le premesse per un reclutamento più dinamico, con competenze aggiornabili e assunzioni flessibili, ma dice che ciò non è avvenuto perché non è arrivato il regolamento previsto.

E perché mai non è arrivato? Forse un ministro dovrebbe dirlo.

Quanto al merito della questione reclutamento, fermi restando i principi dell’autonomia e dell’autogoverno delle istituzioni e la necessità di riportare a fisiologia l’andamento delle assunzioni, Giannini dice che ci sono solo ipotesi. “Potrebbe essere immaginato in vario modo”, cito testualmente. La sua ipotesi, che propone “come pura analogia con il mondo universitario”, è quella di un concorso nazionale e la chiamata da parte delle singole istituzioni.

“Potrebbe essere immaginato”? Siamo ancora a questo punto?

In conclusione: mi sembra comunque positivo che il ministro abbia espresso la sua “visione”. Che per molti aspetti personalmente apprezzo. Peccato che per arrivarci ci siano voluti 26 mesi di governo: per realizzarla non ce ne vorranno certo di meno. Quanto tempo ancora Giannini pensa di rimanere? O si accontenterà di aver fatto da Ufficio Studi al suo successore, che peraltro ricomincerà tutto daccapo?

Forse, era meglio completare la 508.


Sergio Lattes

 

 

 

 

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